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I traditi di Cefalonia

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Paolo Paoletti  

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Il proclama dell'armistizio dell'8 settembre 1943 fu accolto da scene di giubilo ma annunciava traumatiche scelte di campo, esigendo decisioni nette. I tedeschi si sentivano traditi ma gli Alleati non si fidavano degli ex-nemici. I nostri soldati, in particolare quelli sorpresi nei Balcani, si trovarono in mezzo a questi due atteggiamenti opposti. La prima reazione unanime, dei comandanti e dei soldati, fu quella di chiedere l'imbarco per il ritorno in patria. Ma dopo due giorni di silenzio, gli ordini del Comando Supremo, trasferitosi a Brindisi, furono di considerare i tedeschi come nemici. Quindi di resistere sul luogo. La strage di Cefalonia non fu una conseguenza dell'aver obbedito a quegli ordini inequivocabili ma del mancato rispetto alleato degli accordi di Quèbec, in cui le Nazioni Unite si impegnavano a sgomberare le truppe italiane nei Balcani e ad un fatto mai successo nella storia militare di tutti gli eserciti: che un generale, comandante di divisione, dichiarasse al nemico e non ai suoi superiori l'ammutinamento dei propri soldati.

Il libro è frutto di ricerche archivistiche presso l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito e della Marina Militare, l'archivio militare tedesco di Friburgo e della lettura degli atti del processo di Norimberga contro l'ufficiale comandante del XXII corpo d'armata germanico. La scoperta di nuovi documenti inediti ha imposto una rilettura generale di tutti i fatti che precedettero l'inizio delle ostilità. Il generale Antonio Gandin, comandante della divisione Acqui, ricevette nel 1948 la medaglia d'oro al VM, quando non si conosceva ancora la lettera da lui consegnata al comandante del presidio tedesco di Cefalonia, dove il nostro ufficiale accusava la divisione di non aver ubbidito al suo ordine di deporre le armi. Questo documento, allegato al diario di guerra del XXII corpo d'armata germanico, era stato sequestrato dagli americani nel 1945, insieme a tutta la documentazione militare tedesca. Ma quando fu scoperto nel 1974 e parzialmente pubblicato dal cappellano militare don Luigi Ghilardini, rimase ignorato. Fu riproposto nel 1985, in tutto il suo contenuto esplosivo, dal gen. Renzo Apollonio, che era stato il principale oppositore alle trattative di resa del gen. Gandin e uno degli imputati al processo intentato dal padre di un Martire contro alcuni reduci accusati di insubordinazione. Qui si ripropone quella lettera, insieme ad altri documenti tedeschi dove si accusano i soldati italiani di atti di ribellione contro gli ufficiali favorevoli alla resa, come unica spiegazione al fatto che Hitler ordinò solo a Cefalonia l'esecuzione di massa dei soldati prigionieri di guerra.

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