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Storie di frontiera Prefazione Maurizio Chierici

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Paolo Odello  

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"Metti una sera in casa, da solo. Di fronte una montagna di ritagli di giornale da riordinare. Appunti e articoli ancora da archiviare. Fra i tanti fogli sparsi, uno attira la tua attenzione". Inizia così il viaggio lungo quella linea di demarcazione che chiamiamo confine...

Il libro: una montagna di carta e parole piantata in mezzo alla scrivania, articoli e appunti da riordinare diventano il filo conduttore di un viaggio lungo quella linea di demarcazione che chiamiamo confine. Non approfondimento, piuttosto un ripensamento della cronaca guardata dall’interno. Note e appunti tratti dal taccuino di un giornalista per ridare un volto a persone e fatti che troppo spesso non godono neppure della dignità di notizia. Smontare quella linea invisibile che ci garantisce sicurezza, al riparo di una pretesa normalità per riempire lo spazio del non detto. Cambiare punto di vista per rispondere a una semplice domanda: che cos’è un confine? Nella ricerca di una possibile definizione il racconto prende forma. Una sbarra di ferro, un gruppo di uomini in divisa che controllano i documenti in mano a chi chiede di oltrepassare, in un senso o nell’altro, la linea tracciata dalla sbarra e una bandiera. A poche centinaia di metri di distanza un’altra sbarra, un altro gruppo di uomini con una divisa e una bandiera diversa. Questa la risposta più ovvia, però la presenza di una sbarra non è sempre indispensabile per stabilire l’esistenza di un confine, molto spesso per erigerne di più impenetrabili sono sufficienti le parole. Ladro, puttana, spacciatore, clandestino per definire i confini della legge, a volte della morale. Nella pratica quotidiana altre parole di confine: extracomunitario, immigrato, disoccupato, precario. Innocue soltanto all’apparenza tracciano le linee di un recinto ancora più ristretto. Sbarramenti eretti per stabilire con certezza un “di qua”, il mio, ben diviso da un “di là”, ad uso e consumo di quelli rimasti fuori. Sono confini molto affollati che tutti, prima o poi, potremmo essere costretti ad attraversare. Un cambio repentino di prospettiva e ci si ritrova dalla parte sbagliata delle linea. In quel momento, se tieni gli occhi ben aperti puoi vedere che quelli ributtati di là hanno facce e sogni uguali ai tuoi.

Il confine, che cos'è un confine?

Una sbarra di ferro e un gruppo di uomini in divisa che controllano i documenti in mano a chi chiede di oltrepassare, in un senso o nell'altro, la linea tracciata dalla sbarra. E una bandiera. A poche centinaia di metri di distanza un'altra sbarra e altri uomini, divisa e bandiera di colore diverso. La presenza di una sbarra non è sempre indispensabile per stabilire l'esistenza di un confine. Molto spesso per erigerne di più impenetrabili sono sufficienti le parole. Ladro, puttana, spacciatore, clandestino per definire i confini della legge, a volte della morale. L'uso quotidiano della lingua, i media, cambiano significato alle parole. Extracomunitario, immigrato, disoccupato, precario diventano così parole di confine. Innocue soltanto all'apparenza, tracciano invece le linee di un recinto ancora più ristretto.

Reticolati eretti per separare con precisione il "di qua", la mia normalità, da un "di là", territorio diverso ad uso e consumo degli altri. È sufficiente un piccolo cambio di prospettiva per ritrovarsi dalla parte sbagliata della linea.

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